Per un’azienda alimentare è sempre più importante presidiare i diversi canali di vendita. Ma con quale approccio? Multicanale o omnicanale?
Ecco uno dei topics messi a fuoco dal professor Edoardo Fornari in un seminario organizzato da Smea, l’Alta scuola di management ed economia agroalimentare dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona in collaborazione con Accademia Assaggezza Levoni. Affrontando il settore dei salumi, Fornari – Ordinario di Marketing alla Cattolica – ha mostrato come le caratteristiche di freschezza e di ricerca di qualità siano fattori di infedeltà dei consumatori a uno o a pochi modelli distributivi, spingendo il settore verso una moltiplicazione dei canali di vendita. Ma se la multicanalità considera i canali ciascuno a sé stante, per quanto possibile le aziende salumiere dovrebbero preferire l’omnicanalità, che integrando le strategie sui diversi canali offre al consumatore un’immagine di marca unitaria, organica e coerente.
I retailers al centro
In ogni caso, un forte ruolo in tutto ciò lo hanno i distributori. Se è noto come siamo i retailers a mediare tra produttori e consumatori, nei salumi questa parte diventa ancor più rilevante. Innanzitutto, possono spingere alla “prova” del prodotto e portare ad acquisti non-programmati. Possono poi creare nuove occasioni e nuove modalità di consumo: «I punti di vendita/consumo sono “sentinella” dei trend emergenti» ha specificato Fornari. E infine, grazie alla frequenza e alla pedonabilità dei negozi fungono da “media di comunicazione” per l’azienda produttrice.
Ma tra i canali di vendita, c’è forte competizione. Innanzitutto, cresce la crisi degli Ipermercati, tanto che nei primi mesi del 2024 il 45% degli acquirenti dichiara di non aver mai frequentato questa tipologia distributiva, perché grandi e dispersivi e perché spingono ad acquisti non necessari. Da un altro lato, la crisi demografica e l’evoluzione degli stili d’acquisto porta alla rinascita dei negozi di prossimità, grazie, ad esempio, alla facilità di accesso o all’assenza di code. Ma attenzione: come spiega il professor Fornari si tratta di negozi “moderni”, con servizi di buon livello, magari gestiti dalle stesse catene della Grande distribuzione organizzata. E infine, crescono parallelamente l’importanza dei discount, magari in versione soft, e dei canali online.
Barilla: sostenibilità e corretti rapporti di filiera
Smea e grandi aziende, un connubio consolidato da anni, come testimonia la presenza di Barilla a un altro seminario offerto agli studenti del Master in agribusiness e della Laurea magistrale in Agricoltural and food economics. In particolare, Michele Zerbini – Purchasing senior Manager di Barilla – ha trattato di Value Creation trough AgroFood Supply Chains: the role of Purchasing Department in Barilla. Zerbini ha dapprima delineato i criteri generali nell’attività della supply chain: apportare efficienza e competitività alla produzione, garantire qualità e sicurezza degli alimenti, mettere sempre al centro il rispetto dell’ambiente, creare un sistema di collaborazione tra l’azienda, gli agricoltori, le università e altri stakeholders.
Non solo. In Barilla tengono a corretti rapporti di filiera, tanto che, nell’acquisto delle farine, la metodologia di definizione del prezzo si basa sull’approccio “Open Cost”: «Condividiamo i rischi con i nostri fornitori, per ottenere la corretta remunerazione di tutti i fattori che compongono la valorizzazione della materia prima». Con un occhio sempre attento alla sostenibilità, sia per il grano tenero che per il grano duro, e al benessere animale per le forniture di uova.