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Puntare all’internazionalizzazione, ecco una chiave per la crescita delle aziende agroalimentari italiane

3 marzo 2021

Cosa c’è dietro alla continua crescita dell’export agroalimentare italiano? Come ha spiegato Gianluigi Zenti MRA Managing director in un recentissimo webinar della Smea «Il cibo italiano da molti anni riscuote grande successo all’estero rendendo la nostra tra le cucine etniche più apprezzate al mondo, con la presenza di oltre 150.000 ristoranti italiani all’estero rispetto ai 70.000 presenti in Italia prima della pandemia.  La cucina italiana è stata inizialmente conosciuta a livello internazionale attraverso i ristoranti italiani all’estero. Dal consumo fuori casa è però entrata con forza nell’alimentazione quotidiana delle famiglie. Essa viene riconosciuta come  semplice, buona, salutare e sostenibile»

Nonostante le gravi conseguenze causate dalla pandemia a livello mondiale, nell’anno 2020 le esportazioni agroalimentari italiane hanno registrato il massimo storico di sempre con 46,1 miliardi di euro e un aumento del 1,4%, rispetto al 2019 in netta controtendenza al crollo generale del 9,7% (fonte Istat).

«A fronte di un mercato interno i cui consumi di prodotti agroalimentari si riconfermano stagnanti – ha sottolineato Zenti – le aziende italiane che vorranno aumentare il proprio fatturato si vedranno costrette a puntare sull’esportazione, internazionalizzandosi sempre di più. La pandemia ha accelerato i processi già in atto che avevano causato la stagnazione dei consumi sul mercato italiano e un aumento dei consumi sui mercati internazionali».

Tornando ai dati presentati nel webinar, i settori che hanno visto le crescite più significative sono stati le conserve di pomodoro (+17%), la pasta (+16%) e l’olio d’oliva (+5%). I prodotti del Made in Italy sono stati destinati per il 55% all’interno dell’Unione Europea con la Germania come principale cliente con 7,73 miliardi (pari al 17%). Fuori dai confini comunitari il primo partner commerciale dell’Italia sono gli Stati Uniti con 4,9 miliardi (11%).

Il vino italiano risulta essere tra i settori che hanno subito importanti perdite, con un calo del 3% dovuto prevalentemente alle minori esportazioni verso i mercati asiatici (-21%). I principali mercati, che rappresentano oltre il 50% delle esportazioni, si riconfermano essere Stati Uniti (25%), Germania (18%) e Regno Unito (10%).

 

Le acquisizioni

Secondo Zenti, il Food è diventato il primo segmento nelle attività di Merger & Acquisitions. «Tra le transazioni più recenti abbiamo registrato l’acquisizione da parte di Lactalis della Nuova Castelli, e poi Coca Cola ha acquisito Lurisia e Investindustrial ha acquistato Italcanditi. Inoltre – ha proseguito Zenti – la società spagnola Deoleo possiede i tre marchi di olio extravergine di oliva Carapelli, Bertolli e Sasso. L’olio è prevalentemente di origine spagnola o greca e solo in misura ridotta italiana. Il Gruppo Agrolimen di Barcellona (Gallina Blanca) ha acquistato Star. Fiorucci salumi è entrata a far parte del gruppo messicano Sigma Alimentos. Parmalat, Galbani, Locatelli, Invernizzi, Cademartori sono state acquistate da Lactalis».

L’industria alimentare globale è concentrata nelle mani di poche multinazionali: Nestle, Coca Cola, Pepsico, Unilever, General Mills, Kellogs, Mars, Danone, Mondelez Associated British Foods. Dieci aziende controllano attraverso 500 marchi 450 miliardi di dollari di fatturato annuo pari a più del 70% dei piatti del pianeta. Queste aziende possono influenzare attraverso le loro pressioni in campo politico le normative sull’etichettatura e sul contenuto dei prodotti.

Il saldo agroalimentare dell’Italia è strutturalmente negativo a causa di un grave deficit del settore primario e le importazioni superano le esportazioni. Questo indica che l’Italia non produce abbastanza materie prime (grano, latte, olio di oliva, carni) in quanto la concorrenza estera ha reso antieconomico produrre in Italia. La qualità delle materie prime italiane non sempre è competitiva con i concorrenti esteri ed il saper fare italiano rischia di essere perso.

Al contrario, l’industria alimentare ha un saldo tra importazioni ed esportazioni positivo (1,2 miliardi/anno). Ciò indica che l’industria alimentare italiana non è più collegata al mondo agricolo italiano ma acquista materie prime nel mondo e le trasforma o le confeziona in Italia per poi vendere i prodotti finiti nel mondo. Questo fa sì che, non essendo più legata al territorio, può essere facilmente delocalizzata anche all’estero. I pochi settori dove questo non avviene sono i prodotti Dop dove il 100% delle materie prime deve essere prodotto in Italia, il settore dei vini e in generale i prodotti tipici.

Da non sottovalutare rimane il fenomeno della contraffazione: all'estero 6 prodotti su 10 sono falsi made in Italy. La contraffazione dei nostri prodotti alimentari vale 70 miliardi di euro.

Per poter affrontare le grandi sfide portate dall’internazionalizzazione del cibo italiano e dalla crescente integrazione tra mercato nazionale e mercato globale le aziende italiane non possono che puntare sulla formazione delle nuove generazioni di managers preparati in campo agroalimentare, capaci di comunicare con i millennials e con uno continuo sguardo al panorama internazionale.

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