Trade marketing, ovvero azioni pensate e rivolte alla distribuzione piuttosto che al consumatore. Sono sempre più le aziende produttrici che, affidando i propri prodotti alla grande distribuzione organizzata, devono valutare strategie mirate a come posizionarsi all'interno dei punti vendita della Gdo. Perché nell'ambito dei prodotti al dettaglio, è in questi luoghi che il consumatore prende molte delle proprie decisioni di acquisto.
Delle sfide che pone il trade marketing, in particolare per le aziende dell'agroalimentare, ne ha parlato il professor Edoardo Fornari – docente di Retail marketing all'Università Cattolica – in un seminario organizzato da Smea nell'ambito del progetto Cremona Food-Lab. Iniziando con il dimostrare l'importanza che ormai il trade ha assunto nelle filiere. Basti pensare che l'azienda più grande del mondo per fatturato è un grande magazzino retail: Walmart, che nel 2019 ha venduto beni per oltre 514 miliardi di dollari; tanto per dare un ordine di paragone, il doppio del Pil del Portogallo e dieci volte quello dell'Uruguay.
Ma soprattutto – ha spiegato il professor Fornari – la rilevanza che la grande distribuzione assume per le aziende produttrici emerge dalla constatazione che, in media, oltre l'85% delle decisioni di acquisto da parte del consumatore avvengono all'interno di super e ipermercati.
Ecco perché, per un'azienda agroalimentare, soprattutto medio-piccola come molte di quelle che caratterizzano il territorio cremonese, praticare del trade marketing è sempre più importante. Che poi, in sostanza, si tratta di tutte quelle azioni strategiche, operative e organizzative che un produttore industriale sviluppa con l'obiettivo di gestire il mercato intermedio della distribuzione (quello che viene appunto chiamato "trade").
Siamo peraltro nell'ambito di un processo di sviluppo in pieno corso. Fornari ha mostrato come a livello nazionale, in Italia, negli ultimi anni, l'industria agroalimentare abbia già aumentato gli investimenti in trade marketing rispetto a quelli tradizionali verso il consumatore (consumer marketing). Prendendo ad esempio i beni di consumo ad "alta rotazione" sugli scaffali della Gdo, nel 2008 la ripartizione tra gli investimenti delle aziende nelle aree di consumer e trade marketing era rispettivamente al 35,3% e al 64,7%; ma già nel 2019 queste proporzioni si invertono, e il trade marketing assorbe oggi il 51,8% degli investimenti delle aziende contro il 48,2% in consumer marketing.
Detto questo, considerando le singole realtà, il professor Fornari ha sottolineato come un'azienda alimentare molto conosciuta, cioè con una marca forte, manterrà grossi investimenti su azioni di marketing dirette al consumatore mentre, al contrario, aziende con brand meno affermati si affideranno maggiormente a strategie che coinvolgano la distribuzione. Ma proprio le aziende medio-piccole, devono stare attente a non eccedere. Con l'aumento di investimenti in trade marketing si sottraggono risorse dalle azioni più tradizionali, ovvero il marketing verso il consumatore, compresa la pubblicità e spesso la ricerca e sviluppo. Questo però può portare, a lungo andare, a un indebolimento della marca aziendale, con cali di quote di mercato.